Estratto della tesi di A. Setti, L’eco della caverna. Approccio corporo-sonoro non verbale nelle gravi cerebrolesioni acquisite, Centro Educazione Permanente (Assisi), 2015, pp. 12-15.
Concetti cardine del modello
L’ambito della musicoterapia attiva, in cui rientra il modello applicato da R.O. Benenzon, […] è definito come “l’arte di armonizzare i silenzi per permettere la comunicazione”. Il silenzio è dunque il momento in cui i pazienti hanno la possibilità di essere ascoltati, sia perché esso porta con sé un bagaglio “di informazione e comunicazione”, sia perché, se rispettato, rappresenta una forma di accoglienza rivolta da parte del terapeuta al paziente.
Il silenzio gioca un ruolo essenziale nella musicoterapia, fa regredire al periodo dell’assenza, dell’abbandono da parte dell’altro. Permette anche l’ascolto di altre cose, e soprattutto l’ascolto intimo dello stimolo […].
Il compito del terapeuta, durante il percorso con il paziente, è cercare di far emergere le esperienze che non hanno avuto la possibilità di essere scaricate, sia per cause interne che esterne all’individuo, lavorando nel qui ed ora, attraverso i mezzi a sua disposizione: il suono, la musica, l’azione, la mimica, l’odore, la temperatura, il tempo, lo spazio, il silenzio e, chiaramente, gli strumenti musicali. Tutto ciò favorisce il meccanismo delle associazioni, grazie alla pratica analogica che fa da sfondo ad un trattamento non verbale, la pratica che permette alla persona di ritrovare la “sua storia”, carica di sentimenti ed emozioni.
Quando si fa riferimento al non verbale, si intendono quei codici primari utilizzati dall’individuo per esprimere la propria personalità attraverso sistemi sonori, di movimento e di silenzio. Essi sono riconducibili alle dinamiche energetiche poste a fondamento dell’inconscio, ciò che il modello definisce “la parte dimenticata della personalità”, il suo archetipo riprendendo le parole di C.G. Jung. Ecco che possiamo parlare di Identità Sonora (ISO), un tracciato “cromosomico” sonoro-musicale che rende la persona unica e distinta da tutte le altre. Benenzon ne individua sei principali: l’ISO universale, l’ISO gestaltico, l’ISO interattivo, l’ISO culturale, l’ISO complementare e l’ISO ambientale.
L’ISO universale, a differenza degli altri, “caratterizza tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro contesto sociale, culturale e storico e dalla loro psicofisiologia”, dal momento che ha origine dalle sonorità del battito cardiaco, dell’inspirazione ed espirazione, dell’acqua, del vento e da movimenti ancestrali. È a partire dall’ISO gestaltico, invece, che la persona modella la sua identità rendendola singolare, grazie a tutti i fenomeni sonori, di movimento e di silenzio che circondano la madre durante la gestazione e che possono scaturire dall’interno del suo corpo, raggiungendo il feto attraverso il liquido amniotico. È durante questa fase lunga nove mesi che si verifica la prima espressione della cosiddetta “comunicazione non verbale” e in cui inizia a prendere forma l’ISO interattivo, ovvero l’insieme di energie che “hanno la tendenza a liberarsi verso il conscio”, caratterizzando così la relazione tra due o più persone.
L’accumulazione di energia che si forma nel preconscio, dal parto in avanti, grazie alle ninne nanne, alle voci dei famigliari, alle sonorità dell’ecosistema che circondano il neonato, dà forma all’ISO culturale. Sempre nel preconscio, si trovano quelle energie che hanno la facoltà di apparire e scomparire in base allo stato d’animo dell’individuo generando al tempo stesso “un’identità corporo-sonoro-musicale e un’identità di silenzio”, che prendono il nome di ISO complementare.
Per l’ISO ambientale si intende, infine, “l’insieme delle energie sonore che caratterizzano l’ambiente in cui si vive”.
Da ciò emerge il carattere psicodinamico della musicoterapia benenzoniana che, attraverso l’utilizzo del corpo, delle sonorità e degli strumenti, produce una relazione tra il terapeuta e il paziente. Questa si sviluppa all’interno di uno spazio permeato da un senso di sacralità, conferitogli dal contesto non verbale, dove ha modo di realizzarsi “la relazione oggettuale e la predizione creatrice”. In esso è inserito il gruppo operativo strumentale (G.O.S.), che favorisce l’interazione tra i partecipanti.
Gli strumenti, in base all’utilizzo che ne viene fatto all’interno di una seduta musicoterapica, diventano: oggetto intermediario o integratore (che favorisce l’interazione tra due o più persone attraverso una scarica di energie), oggetto incistato (strumento inteso come parte di sé), oggetto sperimentale (lo strumento viene esplorato facendo entrare in gioco le energie sonore gestaltiche e culturali), oggetto catartico (per scaricare la tensione accumulata), oggetto difensivo (per nascondersi fisicamente o a livello di produzione sonora). Nella scelta degli strumenti devono essere implicite sia la storia sonoro-musicale del paziente sia la sua personalità, che hanno modo di emergere non solo negli incontri preliminari utili alla compilazione della scheda anamnestica, ma anche durante il legame creato con il musicoterapeuta durante lo svolgimento del percorso.
Oltre al concetto di “spazio”, anche quello di “tempo” fa da sfondo ad una seduta di musicoterapia. Si può quindi parlare di tempo cronologico, misurato attraverso gli strumenti, di tempo biologico ovvero il nostro tempo interiore, di tempo di latenza, che esprime il tempo di risposta e di tempo terapeutico, cioè l’adattamento del tempo del terapeuta con quello del paziente. […]
All’interno di questo contesto non verbale, e attraverso l’instaurarsi delle dinamiche di transfert e contro transfert, si possono verificare le apparizioni e le ripetizioni dei rituali. Questi ultimi hanno la funzione di rassicurare, di smorzare l’ansia legata all’incertezza della seduta e permettono di affrontare i conflitti emotivi e affettivi che si possono vivere, all’interno della diade o del gruppo, nell’attività musicoterapica. Questi sono i parametri che possono emergere durante una seduta nel modello Benenzon e che favoriscono la creazione, da parte del paziente, del vincolo relazionale al quale il terapeuta deve integrarsi.
Per riassumere i concetti chiave del modello, possiamo sostenere che esso si fondi sulla teoria psicoanalitica di S. Freud, sulle teorie dell’oggetto di D.W. Winnicot, sui concetti di comunicazione analogica di P. Watzlawickz, sulle teorie di C.G. Jung, sulla prossemica di E. Hall, sul concetto di imprinting di K. Lorenz.
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